La trattativa Stato-Mafia ed il pezzo mancante.

La trattativa Stato-Mafia ed il pezzo mancante. “Occorre scoprire chi ha tradito Paolo Borsellino e i mandanti della strage”

Parlano i magistrati fiorentini Nicolosi, Crini e Quattrocchi che per primi ipotizzarono la trattativa tra Stato e Cosa Nostra e l’hanno messa nelle sentenze. “Molto interessati a leggere le motivazioni”

[Interviste] La trattativa Stato-Mafia ed il pezzo mancante. “Occorre scoprire chi ha tradito Paolo Borsellino e i mandanti della strage”

“La parola trattativa nei processi sulle stragi di mafia del biennio 92-94 la scrisse per la prima volta Gabriele (Chelazzi, ndr). Era il 1996, in autunno, cominciavamo a raccogliere le dichiarazioni di Giovanni Brusca (poi collaboratore di giustizia, ndr). Fu nel nostro processo per le stragi in continente che in aula si parlò del papello, cioè delle richieste di Cosa Nostra allo Stato per mettere fine alle bombe. Ed ero con Gabriele, l’11 aprile del 2003, quando sentimmo il generale Mario Mori (all’epoca capo del Sisde, ndr) negli uffici della Dna in merito alla trattativa. Fu l’ultimo interrogatorio di Gabriele. Una settimana dopo morì, ucciso da un infarto. Quindi oggi non posso che dire bravi ai magistrati di Palermo che hanno completato quell’indagine e raggiunto questo importante risultato giudiziario. Sarò, io come molti altri, attento lettore delle motivazioni. La procura di Firenze aveva sempre cercato i mandanti esterni di quelle stragi. Quello era il nostro obiettivo, il pezzo mancante alla nostra indagine. Ancora oggi i colleghi della procura di Firenze hanno un fascicolo su quell’indagine. E ci sono due indagati. Questa sentenza potrà essere un tassello utile alla scoperta di tutta la verità ancora mancante”. I mandanti esterni di quelle stragi. E gli autori dei depistaggi nell’inchiesta sulla strada di via d’Amelio.

“Quando scoprimmo il papello”

Giuseppe Nicolosi è oggi procuratore a Prato ma per oltre vent’anni è stato sostituto procuratore della Dda fiorentina. Piero Vigna, Chelazzi, Nicolosi, Alessandro Crini, Francesco Fluery, una squadra di magistrati che da Firenze scrissero pagine importanti nella lotta a Cosa Nostra, quella della stagione più efferata, quando i boss decisero di portare l’attacco allo Stato in continente (Roma, Firenze, Milano, di nuovo Roma tra aprile e luglio 1993) dopo aver ammazzato con il tritolo i giudici Falcone, Morvillo, Borsellino, gli uomini e le donne delle scorte. In quel biennio di bombe e morti, da Salvo Lima (marzo 1992) al fallito attentato all’Olimpico (gennaio 1994), affonda il processo sulla Trattativa Stato-Mafia arrivato venerdì a sentenza con una raffica di condanne nei confronti degli ufficiali dell’Arma all’epoca ai vertici del Ros, il reparto scelto per le operazioni speciali, dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e di alcuni boss (Bagarella e Cinà; Riina e Provenzano sono nel frattempo morti).

“Abbiamo tracciato la strada per il processo cosiddetto trattativa”, rivendica Nicolosi. “I contatti tra Mori e l’ex sindaco di Palermo Ciancimino sono fatti storici che abbiamo acclarato nei nostri processi così come l’esistenza del papello è stata dimostrata in aula. Ma – sottolinea il procuratore – noi abbiamo sempre proceduto per l’ipotesi di concorso alle stragi”. Una qualificazione giuridica ben diversa da quella di “minaccia al corpo politico dello Stato” (art.338 cp) scelta dalla procura di Palermo.

“Una sentenza importante ma…”

Ha poca voglia di commentare la sentenza anche Alessandro Crini, oggi procuratore a Pisa. “E’ certamente un passaggio importante ma dobbiamo leggere le motivazioni, fino ad allora è comprensibile un naturale riserbo” spiega ricordando come le inchieste di Firenze abbiano segnato almeno altri due passaggi fondamentali di questa lunga storia. “La trattativa tra Stato e Cosa Nostra – precisa – viene scritta in sentenza per la prima volta nelle motivazioni delle sentenze che hanno condannato all’ergastolo in via definitiva Ciccio Tagliavia, il capo famiglia di Brancaccio che inviò il tritolo per la bomba agli Uffizi”.  L’ultima sentenza di quel processo è arrivata nel febbraio 2017. L’aggettivo “presunta” fu tolto per sempre dal sostantivo “trattativa” che divenne “comprovata” e – hanno scritto i giudici della Cassazione – fu condotta da Cosa Nostra “con finalità ricattatoria con il supporto degli apparati di intelligence”.

Decisiva per scrivere la verità su quel biennio di stragi è stata l’attività investigativa della procura fiorentina e della Dna, allora guidata da Piero Grasso, che portò alla scoperta del più clamoroso depistaggio giudiziario: la condanna del falso pentito Vincenzo Scarantino come autore di quella strage. Un depistaggio che ha falsato per ben sedici anni (Spatuzza ha deciso di collaborare nel 2008, ndr) le indagini sulla morte di Paolo Borsellino e della scorta. “Nel processo Trattativa a Palermo – ricorda Crini – sono stati sentiti gli storici investigatori della Dia che hanno ricostruito il famoso colloquio al caffè Doney a Roma tra Spatuzza e i fratelli Graviano, nel gennaio 1994, un mese prima del loro arresto. Da allora le bombe di Cosa Nostra hanno cessato. Ma i mandanti di quelle bombe sono ancora senza nome”. Si tratta del vecchio fascicolo 3197/95, quello sui mandanti delle stragi di Cosa Nostra, chiuso nel 2011 e riaperto a Firenze nell’ottobre 2017 con l’iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi e Dell’Utri (sulla base di alcune frasi pronunciate e intercettate in carcere da Giuseppe Graviano e finite agli atti del processo Trattativa).

Come si vede, dunque, la sentenza di primo grado sulla Trattativa non è certo la conclusione della ricostruzione di quel biennio di bombe e sangue in cui lo Stato ha vacillato. Almeno altri due sono gli scenari già indicati ma ancora da raccontare: i mandanti delle stragi, appunto, che nulla hanno a che fare con i trattativisti condannati; gli autori dei depistaggi nell’inchiesta Borsellino e delle numerose omissioni che permisero a Cosa Nostra di piazzare il tritolo in via d’Amelio due mesi dopo che lo aveva piazzato a Capaci. Deve essere chiaro che senza queste risposte quella storia non sarà mai scritta del tutto.

“Molta attesa per le motivazioni”

C’è molta attesa per le motivazioni del processo di Palermo. Il presidente della Corte d’Assise di Palermo Alfredo Montalto s’è preso novanta giorni per scriverle. C’è attesa anzitutto per lo sviluppo di quel passaggio nel dispositivo letto nell’aula bunker Pagliarelli dal presidente Montalto: “Marcello Dell’Utri colpevole limitatamente alle condotte contestate come commesse nei confronti del governo presieduto da Silvio Berlusconi”. Un passaggio che ha fatto dire al pm Di Matteo: “Finora avevamo una sentenza che metteva in correlazione Cosa Nostra con Berlusconi imprenditore; ora ne abbiamo un’altra che per la prima volta la mette in correlazione con Berlusconi politico”. Rispetto a questa parole Berlusconi ha annunciato querela.

E c’è molta attesa per la qualificazione giuridica del processo che ha sempre fatto molto discutere. Massimo Fiandaca, uno dei massimi esperti di diritto penale, convinto che il processo fosse “una boiata pazzesca”, anche ieri ha ripetuto che il difetto principale del processo è proprio il reato ipotizzato, cioè la “minaccia al corpo politico dello Stato” (338, cp). Il governo italiano, ha spiegato più volte il professore – non è un corpo politico bensì un organo costituzionale. I pm avrebbero, quindi, dovuto semmai utilizzare l’articolo 289 cp, cioè gli atti violenti contro lo Stato.

“Il rischio dei teoremi”

Conviene allora tornare a Gabriele Chelazzi che da solo e contro tutti già nel 1999 aveva intravisto le responsabilità del cedimento dello Stato rispetto alle minacce e alle bombe di Cosa Nostra. Ma rispetto ad un’ipotesi di concorso alle stragi (il fascicolo sui mandanti). A Firenze, ogni anno il 17 aprile si ricorda il magistrato scomparso nel 2003. Giuseppe Quattrocchi, il procuratore ora in pensione che ha seguito fino a pochi anni fa gli sviluppi delle inchieste di mafia nel capoluogo fiorentino, ha partecipato alla cerimonia. Dove è stata letta una riflessione di Chelazzi rispetto al rischio dei teoremi nelle indagini. “Teorema altro non è che assemblare spezzoni di realtà depurate di elementi dinamici, farli diventare inerti, spersonalizzarli e sistemarli a mo’ di tesserino sullo stesso piano di appoggio e conseguentemente contraffare il tutto con un corretta ricostruzione della realtà”. Anche il procuratore Quattrocchi è in attesa delle motivazioni. Per capire soprattutto “cosa è successo d opo rispetto ai contatti tra il Ros e Ciancimino”. Le bombe sono finite. Cosa ha dato in cambio lo Stato?

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