La mafia tiene in pugno Roma ma senza inzupparla di sangue.

La mafia tiene in pugno Roma ma senza inzupparla di sangue. E la lettera di Pignatone è caduta nel vuoto

Il fatto che a Roma non si muoia per mafia perché raramente ci sono agguati o omicidi di “chiara matrice mafiosa” dimostra solo che la Capitale è una ghiotta prateria, dove scorrazzare è così redditizio che sarebbe da matti mettersi a sparare per le strade. La pax mafiosa – che vige a Roma come in altre zone d’Italia – è quel patto tra cosche che permette di investire, riciclare, ripulire denaro sporco e intessere relazioni con il sistema politico ed economico che governa il Paese

[L’analisi] La mafia tiene in pugno Roma ma senza inzupparla di sangue. E la lettera di Pignatone è caduta nel vuoto
di Luigi Carletti

Se un magistrato prende carta e penna e scrive a un giornale per dire che in città la mafia c’è, che la si voglia chiamare così o in un altro modo, siamo di fronte a un fatto di straordinaria rilevanza e a una denuncia di eccezionale gravità. Se poi quel magistrato è il procuratore capo di Roma e la città è, per l’appunto, la Capitale d’Italia, allora l’uscita pubblica è qualcosa di più di una denuncia: è un chiaro messaggio alle istituzioni e alla classe politica, e pazienza se la forma dell’intervento è poco “istituzionale”, perché il contenuto va ben al di là di ogni pedanteria e perfino di ognipossibile rilievo formale: quel che conta è la sostanza, e la sostanza – in questo caso – è davvero preoccupante.

Io non so quali siano le ragioni profonde che hanno spinto il dottor Giuseppe Pignatone a scrivere questa lettera a Il Messaggero. Mi limito a osservare che quando un magistrato esperto e fortemente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, decide di compiere un passo del genere, è evidente che ha fatto le sue valutazioni ed è altrettanto evidente che le cose non vanno tanto bene e che, in prospettiva, potrebbero andare anche molto peggio. Nella sua lettera, Pignatone prende spunto da una recente sentenza della Cassazione sul clan Fasciani che di fatto riporta di attualità il tema se la criminalità a Roma sia o meno di stampo mafioso. Appare chiaro che pesa moltissimo, nel suo intervento, anche il precedente di un’altra recente sentenza (luglio 2017) nel cosiddetto processo Mafia Capitale, in cui il tribunale, pur comminando pene molto severe ai principali imputati, ha di fatto derubricato l’organizzazione facente capo a Buzzi e Carminati da mafiosa a “semplice” criminalità organizzata.

Mafia comunque c’è e si declina in varie modalità

Che cosa sostiene Pignatone, in buona sostanza? Che per quanto da anni si tenda a negare la matrice mafiosa della grande criminalità romana, la mafia comunque c’è e si declina in varie modalità, dall’esistenza di “significative presenze autoctone” agli affari di cosche siciliane, calabresi e campane. E ovviamente, nell’affermarlo, il magistrato elenca una serie di dati e di valutazioni che appartengono alla cronaca e non certo a suoi convincimenti personali.

I media preferiscono non trattare l’argomento

Ora, quindi, il dato di fondo di tutto questo non è tanto la legittima posizione di Pignatone, ma il fatto che egli senta la necessità di sottolineare tutto questo in un momento in cui l’opinione pubblica pare cloroformizzata, quasi che non sia in grado di distinguere tra fiction e realtà, e la classe politica vive una quotidianità di guerriglia elettorale in cui le schizofreniche tecniche di comunicazione virale prevalgono sulla sostanza dei problemi e delle vere emergenze del Paese. A tutto questo aggiungiamo l’assordante silenzio degli altri media: ad ora, nessuna delle cosiddette grandi testate del Paese ha ripreso (e magari approfondito) la lettera del procuratore al Messaggero, probabilmente per quella penosissima regola secondo cui – più della sostanza – conta il fatto di aver preso un “buco” dal giornale concorrente. Perciò i vari “esperti” di mafia, complice la giornata di festa e il beltempo, non scrivono e non si pronunciano: aspettano che passi la nottata e poi ci faranno sapere.

A Roma la mafia c’è e chi la nega non lo fa per difendere l’immagine della Capitale

Il punto dolente di tutto questo è che a Roma la mafia c’è e chi la nega non lo fa per difendere l’immagine della Capitale nel mondo: c’è ben poco da difendere, visto il livello di corruzione (ricordato dallo stesso Pignatone) in cui s’impantana chiunque tenti di fare qualcosa di normalmente produttivo. Si nega la mafia per quella stessa sottocultura che portava certi giornalisti siciliani o calabresi a spiegarti che se sei di un’altra regione tu la mafia non la potrai mai capire, come a sottolineare una peculiarità che è geografica, antropologica e genetica. E quindi, che c’entra Roma con la mafia? Roma caput mundi – nella visione di molti – sarebbe misteriosamente refrattaria alle contaminazioni mafiose, non si capisce bene in virtù di che cosa, visto che nei suoi 2770 anni di storia, quanto a contaminazioni, non si è fatta mancare niente.

Eppure la storia di questi ultimi decenni ha dimostrato che la mafia è un sistema i cui codici e le cui dinamiche vanno ben al di là dei “pizzini” e delle “lupare”, e che per essere mafiosi non occorre certo essere nati per forza sotto il Liri e il Garigliano. Il fatto che a Roma non si muoia per mafia perché raramente ci sono agguati o omicidi di “chiara matrice mafiosa” dimostra solo che la Capitale è una ghiotta prateria, dove scorrazzare è così redditizio che sarebbe da matti mettersi a sparare per le strade. La pax mafiosa – che vige a Roma come in altre zone d’Italia – è quel patto tra cosche che permette di investire, riciclare, ripulire denaro sporco e intessere relazioni con il sistema politico ed economico che governa il Paese. Parlo di quei mitici “colletti bianchi” su cui si fa tanta letteratura e che ai più sembrano figure da romanzo, ma che poi, magari, frequentano la nostra stessa parrocchia e il nostro stesso club, hanno ottime referenze e a parlarci sembrano pure simpatici.

Queste è la mafia a Roma, semplicemente e tragicamente questo. Pignatone lo sa e non a caso punta il dito sulla corruzione: perché la corruzione è il terreno prezioso e sempre fertile che la mafia, per prima, non vuole inzuppare di sangue. Non serve. Non fa bene al business. Non sarebbe da persone accorte.

La mafia tiene in pugno Roma ma senza inzupparla di sangue.ultima modifica: 2017-11-07T19:57:35+01:00da ugo565
Reposta per primo quest’articolo