L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi.

L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi. Il mondo che Villaggio voleva demolire non esiste più

L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi. Il mondo che Villaggio voleva demolire non esiste più

di Luca Telese

È morto Paolo Villaggio, l’attore, ma prima era morto il suo personaggio feticcio, il suo alter ego, la sua maschera. È morto Villaggio, dopo che l’Italia della precarietà aveva ucciso Ugo Fantozzi, facendolo sembrare non la satira di un’Italia feroce, ma l’immagine di un Eden perduto del posto fisso. Certo Villaggio era questo e molto altro: era attore, comico, scrittore, sceneggiatore e doppiatore. Era l’inventore di una nuova lingua: “venghi”, “vadi”, “dichi”, di uno slang, di modi di dire (“come-è-umano-lei”), di immagini eterne come lo “Spigato siberiano” o “il direttore megagalattico”, “la belva umana”, che oggi puoi trovare in bocca a bambini che non hanno mai visto un suo film.

Ma il carattere che lo aveva reso immortale era quel ragioniere piccolo-piccolo partorito dalla sua penna in forma di romanzo e dal suo talento parodistico in forma di carattere. Fantozzi era l’Italia del para-stato, del lavoro e del dopolavoro, degli straordinari, dei dirigenti, dei colleghi e delle chiacchiere in corridoio, del megadirigente con la poltrona in pelle umana, dei dibattiti sulla Corazzata Potemkin. Il mondo che Villaggio voleva demolire ed irridere oggi sembra bello è felice, i suoi film di satira hanno il colore agrodolce dell’amarcord. Ma Paolo Villaggio fu anche altre rasoiate nella tela dell’Italia anni sessanta-settanta in bianco e nero. Era stato il professor Kranz, ovvero il primo simbolo del cattivismo televisivo, il personaggio strampalato che insuktava le vecchie nella Rai delle paillettes. E poi era l’amico è il paroliere di Fabrizio De Andrè, con cui aveva scritto – tra le altre – “Il fannullone” e “Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers”. se André datava il loro incontro – addirittura al 1948 – e lo descriveva come la collisione tra due contrari, lui giovane contestatore, e Villaggio giovane morigerato: “Si investì della parte del fratello maggiore – ricordava Faber – e mi diceva: ‘Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell’attenzione, sei uno stronzo'”.

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Per il celebre verso sul monarca deluso perché costretto al sesso a pagamento – “È mai possibile, o porco di un cane/, che le avventure in codesto reame/ debban risolversi tutte con grandi puttane!” – Villaggio e De André furono denunciati per oscenità dal pretore di Catania.

Ma è il primo passo fuori dall’anonimato: per metà della vita fa il dipendente, è per l’altra metà l’aspirante cabarettista, Maurizio Costanzo gli consiglia di andare a Roma, e la leggenda narra che una sera faccia cadere Ennio Flaiano dalla sedia per il troppo ridere. Fantozzi-Krantz e Fracchia gli aveva regalato il successo a lungo inseguito. Lo avevano reso l’attore più pagato del cinema italiano – ne era orgoglioso – ma anche l’interprete serio di film d’autore, tra cui “La voce della Luna” di Federico Fellini, al fianco di Roberto Benigni. Ma lui, ogni volta che lo intervistavo, ci teneva a ricordare anche “Camerieri”, il film d’esordio di un giovane regista (Leone Pompucci) che gli aveva permesso di vestire di nuovo i panni prediletti del grottesco. Fantozzi non era Villaggio, ma esisteva davvero, Paolo raccontava di averlo conosciuto in un sottoscala. Un anonimo ragionier Bianchi che lo aveva fatto rider con la sua goffaggine. Lui gli aveva teso la mano, quello pensava di essere stato invitato a ballo. Adesso Villaggio si è ricongiunto anche a lui, con l’Italia che pensando di irridere ha reso immortale, perché le vie della comicità sono imperscrutabili.

L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi.ultima modifica: 2017-07-16T11:48:55+02:00da ugo565
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