Contro il mal di soldi la grande battaglia del Papa

Il Vaticano, la roba e il mal di soldi. Ecco la madre di tutte le battaglie di Francesco dentro la Chiesa

Amministrare il patrimonio della S. Sede per il Papa resta un grattacapo. Nonostante la riforma, cambiata due volte in due anni, il Pontefice non è soddisfatto

Il mal di soldi, la grande croce del Papa
Contro il mal di soldi la grande battaglia del Papa

Il mal di soldi non si guarisce con la bacchetta magica neppure in Vaticano e Papa Francesco ne sta facendo esperienza diretta. La parte più delicata della riforma avviata dopo la sua elezione riguarda i soldi, motivo di scandalo continuo nell’immaginario della gente che è portata a pensare il Vaticano come il regno dell’intrallazzo finanziario e del paradiso immobiliare. C’è una sigla, APSA (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica) che continua a creare problemi e non da oggi. La nomea terribile che si era fatta lo IOR (Istituto per le opere di religione) ora si è concentrata sull’APSA il vero forziere – si dice – della Santa Sede. Girano cifre importanti su quanto possiede in beni mobili e immobili oltre ad essere la vera banca da cui dipendono i pagamenti degli stupendi e delle pensioni dei dipendenti vaticani insieme alle spese correnti dei vari dicasteri e organismi.

Sembrava che fosse tutto risolto dopo il 2014 l’anno del primo documento di Francesco sulla natura e competenze dell’Apsa. Che invece sono risultate poco chiare anche dopo. Non solo per alcune operazioni economiche ma anche per i rapporti tesi con la Segreteria per l’Economia  (SPE) presieduta dal cardinale australiano Pell. Tanto malumore e confusione che Francesco è dovuto intervenire ancora con un nuovo documento di indirizzo che chiarisce le competenze della Segreteria dell’economia e dell’APSA per evitare doppioni e interferenze reciproche. La riforma prevede ora che l’amministrazione del patrimonio resta all’APSA presieduta dal cardinale Domenico Calcagno mentre il controllo dell’attività di gestione lo detiene per intero e unicamente la SPE.

A questo punto occorre ricordare che la questione della trasparenza dell’economia e del rapporto stesso tra Chiesa e denaro non è roba di adesso, ma è nata con le primissime comunità cristiane.

“Nessuno può servire due padroni”

Ma Già Gesù aveva messo sull’avviso: nessuno può servire a due padroni – Dio e il denaro – perché odierà l’uno e amerà l’altro e viceversa. I discepoli se ne accorsero ben presto di come la questione era importante e non semplice da gestire. Gli Atti degli Apostoli già nelle primissime pagine narrano che la prima comunità di seguaci di Gesù si erano accordati a mettere in comune i beni che venivano amministrati con un occhio di riguardo ai bisogni di tutti ma specialmente dei poveri. Ma ci fu un tale che pensava di fare il furbo vendendo le sue proprietà e portando agli apostoli solo parte del ricavato affermando che si trattava dell’intero. Mal gliene incolse poiché san Pietro svelò la frode fatta con astuzia da Anania e dalla moglie Saffira rimproverandolo di aver mentito a Dio con quell’imbroglio. Anania fu preso da tremore e morì sul colpo. Nei secoli successivi la Chiesa crescendo ed espandendosi in varie parti del mondo aggiornò anche il modo di amministrare donazioni e finanze passando periodi di corruzione e periodi di purificazione. E’ noto a tutti anche il commercio delle indulgenze che porto Lutero ad abbandonare la Chiesa che non voleva dare meno valore al denaro.

Nessuna meraviglia perciò che il piccolo Stato della Città del Vaticano abbia avuto negli anni seri problemi di trasparenza sulla gestione del denaro e del suo patrimonio. Il percorso di riforma delle finanze vaticane è stato più complesso del previsto. Iniziato negli anni Ottanta del secolo scorso, non si è ancora concluso. Tutti hanno potuto assistere a passi sempre più importanti per portare a termine non una rivoluzione ma una riforma a tappe a motivo della complessità della materia e del cammino da fare per aggiornare il modo di gestire il denaro secondo i criteri accettati a livello internazionale. Molto è stato fatto, ma non tutto. Anche la migliore riforma se non coinvolge il cuore delle persone non darà mai i frutti sperati. Francesco ne è cosciente e insieme alla fermezza delle decisioni pratica anche la pazienza senza arretrare di un millimetro. Nel campo economico è notorio che si possono preparare le trappole più incredibili specialmente se non si ha una pratica finanziaria necessaria. E questo ha permesso a diversi personaggi del clero alto e basso, in vaticano e nelle diocesi, di combinare pasticci e abusi creando difficoltà enormi a sanare i buchi e a rendere credibile la proposta spirituale della Chiesa.

Francesco che da subito aveva chiarito di volere una Chiesa povera per i poveri si è messo all’opera con molta lena e altrettanto prudenza sapendo che si trattava di uno scoglio davvero difficile. E così sta avvenendo. Non a caso ha messo per iscritto sulla destinazione dei beni della Chiesa che – ha chiarito nel recente documento di indirizzo e disposizioni – sono destinati al culto divino, al sostentamento del clero, all’apostolato e alle opere di carità, specialmente al servizio dei poveri. E ha sottolineato la responsabilità di porre la massima attenzione affinché l’amministrazione delle proprie risorse economiche dell’APSA sia sempre al servizio di tali fini. Si tratta di criteri tassativi e vincolanti a cui deve attenersi anche l’ente di controllo, la SPE perché ogni atto di alienazione, di acquisto o di straordinaria amministrazione posto in essere dall’APSA  dovrà essere verificato in base ai criteri stabiliti dalla superiore autorità, ossia dal Papa. Da questa indicazione di principio non si scappa, ma sbavature possono ancora accadere come è successo di recente con la stipula di un affitto chiacchierato con Mac Donald quasi adiacente al Vaticano in locali di proprietà dell’Apsa.

Pare che anche il Consiglio dei 9 cardinali che aiutano da vicino il Papa sia rimasto sconcertato. In nessun ambito come in quello dei soldi perdura una grande distanza tra il dire e il fare.

L’ansia di Francesco per mettere punto all’emorragia di credibilità della Chiesa  a causa dei soldi mal amministrati è apparsa anche nel suo incontro di maggio con i vescovi italiani esortati a ”mantenere soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”.

Non è un caso se nelle diocesi si va diffondendo la buona pratica di affidare a dei laici credenti la gestione delle finanze delle parrocchie e delle stesse diocesi. Anche questo uso si richiama alla Chiesa primitiva. Gli Apostoli a un certo punto, con l’aumentare il numero dei fedeli, decisero di tenere per sé solo la preghiera e la predicazione del Vangelo affidando a dei fedeli di fiducia l’amministrazione dei beni e della carità verso i poveri. Nacque in tal modo la figura del diacono. Figure di grande prestigio tanto che il primo fra loro chiamato Stefano venne ucciso per la sua fedeltà al nome di Gesù divenendo il protomartire cristiano.

Chissà quante volte Papa Francesco portando avanti la riforma economica abbia pensato alla necessità per la Chiesa dei nostri giorni a fedeli laici capaci di amministrare come Stefano.

Contro il mal di soldi la grande battaglia del Papaultima modifica: 2016-11-14T10:44:04+01:00da ugo565
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