Perché non sarà l’Italia a scoprire il vaccino per il Covid-19

Burocrazia, regole, risorse: tre muri altissimi per la ricerca italiana

RADOSLAV ZILINSKY VIA GETTY IMAGES
Corona virus close up

(A cura del prof. Guido Forni, immunologo, socio linceo)

Inoculando in un bambino di otto anni il liquido delle pustole del vaiolo delle mucche, il 14 Maggio del 1796 il Dr. Edward Jenner ha inventato la vaccinazione contro il vaiolo. Ma come ha fatto Jenner a verificare che il vaccino proteggesse davvero? Beh, gli immunologi sono sempre un po’ imbarazzati nel raccontarlo perché sei settimane dopo averlo vaccinato, Jenner ha inoculato nel bambino il vaiolo umano. Il bambino non si è ammalato. Per essere più sicuro, Jenner gli ha ri-inoculato il vaiolo per altre venti volte, e sempre il bambino non si è ammalato. In questo modo un po’ inquietante è stata inventata la vaccinazione, una biotecnologia medica che ha portato all’eradicazione del vaiolo dalla faccia della Terra e alla quasi totale scomparsa di molte altre malattie infettive.

E oggi, come si fa a creare un vaccino contro la COVID-19? Alla sua messa a punto stanno lavorando numerosi laboratori universitari, piccole ditte di biotecnologie e grandi case farmaceutiche. Un ente internazionale, il Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) con sede a Oslo, ha promosso e parzialmente finanziato poco meno di una cinquantina di progetti per arrivare a un vaccino anti COVID-19. Indipendentemente dalla CEPI, numerosi altri progetti sono stati avviati. Questi progetti partono da concetti e da tecnologie molto differenti tra loro. Alcune di queste, quelle basate sull’RNA e DNA, permettono una rapida produzione del vaccino, ma non si conosce ancora bene quale sia la capacità di questi vaccini di indurre un’efficace e persistente risposta immunitaria negli esseri umani. Altre tecnologie, più complesse, richiedono tempi più lunghi. Queste tecnologie, però, hanno già portato alla preparazione di vaccini efficaci contro altre malattie virali.

Nella creazione di un vaccino, la prima fase è basata sull’ideazione e la costruzione del vaccino. Una seconda fase consiste nella verifica, su modelli animali, inizialmente in genere i topini, che il vaccino induca una buona risposta immunitaria. A questo punto è richiesto un complesso e assai costoso studio tossicologico svolto da un ente indipendente, specializzato e autorizzato dallo Stato, che deve valutare se quel vaccino crea evidenti effetti collaterali agli animali a cui il vaccino è stato somministrato. Se i risultati vengono giudicati accettabili dalle autorità regolatorie dello Stato, queste possono permettere la sperimentazione del vaccino su un piccolo numero di volontari umani. Con la sperimentazione sui volontari si verifica se il vaccino induce una buona risposta immunitaria anche negli esseri umani, quali ne sono le caratteristiche e se alla somministrazione del vaccino sono associati evidenti problemi. A questo punto, le autorità regolatorie possono permettere la messa in atto di uno studio randomizzato controllato che permetterà di confrontare l’incidenza della malattia in un gruppo di persone vaccinate e in un altro gruppo di persone non vaccinate. Se il vaccino funziona davvero, la malattia sarà molto più frequente nel gruppo di persone non vaccinate. La fase successiva consisterà nella valutazione dell’effetto della vaccinazione nel mondo reale, confrontando l’incidenza di malattia nella popolazione prima e dopo l’introduzione del vaccino.

In quale fase siamo nella messa a punto di un vaccino anti COVID-19? A quattro mesi dall’identificazione del virus, due progetti hanno già raggiunto la fase della vaccinazione dei volontari. Uno è il progetto della ditta di biotecnologia Moderna di Cambridge, Massachussetts, e l’altro è quello della CanSino Biologics Inc., Tianjin in Cina. Alcuni particolari di come la ditta Moderna sia giunta, negli Stati Uniti a provare il suo vaccino a RNA sui volontari sono disponibili.

Di fronte alla tragica diffusione della COVID-19, le istituzioni regolatorie statunitensi attivando le Emergency Authorization Procedure dimostrano una flessibilità per noi incredibile: hanno concesso alla ditta Moderna di vaccinare i volontari umani prima che il lungo e costoso studio tossicologico sia completato. I volontari vengono vaccinati solo sulla base dei dati ottenuti sui modelli animali. Flessibilità e rapidità quasi incredibili per un cittadino europeo e, in modo particolare per un cittadino italiano.

I dati ottenuti sui volontari indicheranno solo se il vaccino induce – o non induce – una buona risposta immunitaria. Non dimostreranno se questa risposta sia più o meno efficace nel proteggere verso la COVID-19. Per avere questo dato, che è poi quello essenziale, si deve vaccinare un gruppo di persone e verificare se le persone vaccinate si sono ammalate o meno in confronto a un analogo gruppo di persone non vaccinate. Tempo necessario per questa osservazione? Mesi, se non anni.

Ma la flessibilità americana ci potrebbe spiazzare di nuovo: un filosofo etico della prestigiosa università di Harvard propone di tornare a Jenner. Perché, scegliendo volontari che abbiano comunque elevate probabilità di guarire dalla COVID-19, non vaccinarli e poi infettarli deliberatamente con il virus della COVID-19 e vedere se sono davvero protetti dell’infezione? Il rischio, accettato da questi volontari – rischio magari anche ben remunerato – potrebbe contribuire a sveltire la messa a punto del vaccino, salvare molte o moltissime vite umane e permettere una più rapida uscita dai terribili blocchi imposti dal contenimento della COVID-19. Studi successivi su un numero di persone sempre più ampio permetteranno poi la preparazione dei dossier sull’efficacia del vaccino sugli eventi avversi associati alla vaccinazione, se ce ne saranno. Sulla base dei dati di questi dossier, le autorità dei vari Paesi del mondo decideranno se accettare o a respingere quel vaccino. Flessibilità e rapidità, magari inquietanti, ma di eccezionale efficacia.

E in Italia? Ci sono ditte o laboratori italiani che stanno mettendo a punto vaccini anti COVID-19? Di certo, vari laboratori stanno lavorando su piattaforme tecnologiche molto innovative e competitive con quelle delle altre parti del mondo. Ma hanno molte difficoltà e poche speranze, se non andando a collaborare all’estero. E immaginiamo perché.

Immaginiamo, per esempio, che due professori universitari particolarmente in gamba siano riusciti a convincere la loro università a creare uno spin-off, una micro-ditta collegata all’università. Immaginiamo che abbiano coinvolto tre studenti, molto bravi, due ragazze ed un maschio a collaborare. Immaginiamo che i due professori siano ben consci che la rapidità sia fondamentale e che abbiano, apposta, chiamato la loro ditta Anemos, pensando a un vento turbinoso di velocità e innovazione. Immaginiamo che il vaccino anti-COVID-19 su cui stanno lavorando sia un vaccino a DNA, più evoluto, più innovativo e probabilmente più efficace di quello degli altri laboratori in competizione. Immaginiamo che il loro vaccino sia così innovativo che la CEPI lo abbia incluso tra quelli coordinati a livello internazionale e che abbia concesso un piccolo, ma significativo finanziamento all’università. Immaginiamo che siano riusciti a preparare il vaccino e che siano pronti a vedere se induce una buona risposta immunitaria nei topini. Immaginiamo che pensino di utilizzare tre dosi di vaccino da somministrate a tre gruppi di 5 topini e tenere un gruppo di 5 topini per controllo. Venti topini. Immaginiamo che, con una certa lentezza, il Comitato Etico della loro università abbia approvato il progetto e che i due professori possano adesso avanzare la richiesta dell’autorizzazione a eseguire l’esperimento sui topini sul sistema informatico del Ministero della Salute che poi trasmetterà le pratiche anche all’Istituto Superiore di Sanità per un ulteriore parere. Immaginiamo che i due professori si rendano conto che il Decreto Legislativo (26/2014) del nostro Paese ha modificato molti aspetti della ricerca italiana sugli animali rendendo le autorizzazioni più complesse rispetto alla Direttiva Europea (2010/63) che assicurava condizioni di ricerca analoghe in tutti i Paesi della Comunità. Immaginiamo che, avanzata la richiesta, i due professori ed i tre studenti sentano con una certa ansia il passare del tempo, che desidererebbero poter interagire per spiegare e per chiedere alle commissioni che valutano la richiesta di valutare con una certa rapidità. Immaginiamo invece che i due professori, parlando coi colleghi, incomincino a temere che l’intendimento della lentezza e delle richieste successive di integrazione e di modifica che frenano ancora di più l’iter della pratica non siano casuali ma ispirate da un partito politico che ha come intento esplicito l’abolizione di ogni esperimento sugli animali in Italia, rendendo, in modo strisciante, le autorizzazioni sempre più difficili. Immaginiamo anche che i nostri due professori si convincano ancora di più di questo intendimento quando scoprono che adesso, se mai otterranno il permesso, dovranno anche pagare una tassa, salata per una piccola spin-off universitaria come la loro: lo Stato che finanzia la loro attività allo stesso tempo la tassa per cercare di disincentivarla.

Immaginiamo che i nostri due professori si sentano un po’ traditi, quasi offesi, ma che siano così convinti del loro progetto da decidere comunque di andare avanti, come se fossero sicuri che tra qualche mese riusciranno davvero a ottenere l’autorizzazione e che il loro vaccino anti COVID-19, fulgido d’innovazione e tecnologia, indurrà nei topini un’ottima risposta immunitaria. Immaginiamo che, avendo preso contatto con una ditta specializzata, si rendano conto che per avere la successiva l’autorizzazione a sperimentare il vaccino sull’uomo hanno bisogno di un lungo e minuzioso studio tossicologico, che costa una cifra per loro enorme. Immaginiamo che comunque, persuasi del loro progetto, inizino ad esplorare la possibilità di ottenere fondi per avere una prospettiva per andare avanti, se tutto andasse bene. Immaginiamo che iniziano a fare riunioni, per loro un po’ strane, con investitori di vario genere che potrebbero essere interessati a partecipare in vario modo al progetto del loro vaccino anti COVID-19.

Immaginiamo ancora che da queste riunioni i due professori e i tre studenti escano più gasati che mai – il loro progetto è così innovativo che entusiasma e suscita grandi complimenti – e più depressi che mai: troppe lentezze sia attuali che in futuro rendono, per giudizio unanime dei vari e diversi investitori, il progetto non competitivo, niente da fare, troppo lento. Immaginiamo che la studentessa più anziana, grazie ai contatti con gli investitori svizzeri, abbia trovato un ottimo posto di lavoro all’estero e, un po’ emozionata, se ne vada. Immaginiamo che l’altra studentessa, un po’ depressa, abbia deciso di sposarsi e per adesso di lasciar perdere la ricerca. Immaginiamo che lo studente maschio non sappia proprio che cavolo fare adesso che sta prendendo il Dottorato e che l’Anemos sta vedendo spegnersi il suo turbinio di ricerca e innovazione. Immaginiamo. Certamente quello che abbiamo immaginato è generico, esagerato, pessimista ma… magari qualcosa in Italia è proprio così.

Perché non sarà l’Italia a scoprire il vaccino per il Covid-19ultima modifica: 2020-04-21T10:51:27+02:00da ugo565
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