Cannabis, il problema della dipendenza

Cannabis, il problema della dipendenza

di Brigida Stagno

Con lo slogan “Cannabis patrimonio dell’umanità” è partita lo scorso maggio la “Million marijuana march”, la marcia globale da anni a favore della liberalizzazione dell’erba. Comune l’obiettivo nelle 400 città del mondo coinvolte: bloccare la persecuzione dei consumatori, dare accesso libero alle cure di alcune malattie, come la sclerosi multipla o il dolore cronico, libertà di autocoltivare liberamente la canapa, pianta considerata un bene comune. Sulla cannabis (hashish e marijuana) la ricerca scientifica continua però a sfornare lavori (peraltro contrastanti) sui pro e contro e il dibattito è sempre acceso.
Una revisione di più lavori scientifici pubblicata sulla rivista British Medical Journal da ricercatori del National Institute on Drug Abuse (NIDA), che fa parte dei National Institutes of Health, fa ora il punto sugli affetti negativi dello spinello, soprattutto tra i più giovani, in cui l’uso e abuso sono in crescita.
Il problema cruciale, secondo i ricercatori, è quello della dipendenza, decisamente maggiore con la “canna” di oggi, considerata erroneamente una droga leggera, ma molto più potente di una volta, perché geneticamente modificata e con un contenuto superiore di THC, o tetra-idro-cannabinolo, la sostanza psicoattiva responsabile degli effetti della cannabis. Il problema della dipendenza andrebbe quindi oggi rivisto, in quanto gli studi scientifici condotti negli anni passati si basavano sull’uso di un tipo di erba molto meno potente (cioè a minor contenuto di THC) rispetto a quella attuale. Il 9 per cento di chi la sperimenta è destinato a diventare dipendente e la dipendenza aumenta di pari passo con il numero di anni di abuso e con l’inizio in età più precoce. I sintomi dell’astinenza, che includono irritabilità, difficoltà a dormire, ansia e alterazioni dell’umore, rendono difficile smettere e contribuiscono alle ricadute.
Oltre alla dipendenza, i dati emersi dal lavoro  dimostrano chiaramente che l’abuso di cannabis può compromettere la capacità di guidare (a causa della distorsione della percezione di spazio e tempo, dell’attenzione e del coordinamento motorio), aumentando il rischio di incidenti stradali, più alto se si bevono contemporaneamente alcolici. Non solo, ma il suo uso ( così come quello di nicotina e alcol) potrebbe essere associato a una maggiore vulnerabilità ad altre sostanze psicoattive.
I ricercatori mettono in guardia anche dalle possibili conseguenze per la salute del fumo di marijuana passivo, suggeriscono l’impatto a lungo termine dell’esposizione prenatale alla marijuana, gli effetti delle politiche di legalizzazione sulla salute pubblica, ma ammettono anche il potenziale terapeutico delle singole sostanze chimiche presenti nella pianta (il Thc è un ottimo analgesico).
L’attenzione è puntata soprattutto sugli adolescenti, il cui sistema nervoso è ancora in veloce evoluzione, spiegando così i maggiori rischi in questa fascia di età: dalla compromissione della capacità critica e della memoria, che dura per giorni, alla riduzione del QI in età adulta in caso di abuso cronico. I giovanissimi sono molto sensibili agli effetti della cannabis sul sistema nervoso centrale, con danni che in certi casi rimangono anche in età adulta. Il cervello dell’adolescente non ha infatti ancora raggiunto una maturazione completa e l’uso di cannabis può modificarne la struttura e le funzioni.
Quanto alla correlazione tra l’uso di marijuana e lo sviluppo di patologie psicotiche o schizofrenie anche in età adulta, come lo psichiatra Lester Grinspoon ( uno dei più autorevoli studiosi di cannabis) ha più volte sostenuto in passato, non sarebbe causato da questa sostanza, ma il legame potrebbe esistere semmai solo nelle persone con una certa predisposizione a questi disturbi.
 

24 giugno 2014
Cannabis, il problema della dipendenzaultima modifica: 2014-07-26T16:07:18+02:00da ugo565
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