La medaglia d’oro delle azzurre afro-italiane

La medaglia d’oro delle azzurre afro-italiane, la favola che turba i razzisti della domenica

Sono quattro medaglie d’oro vinte con una staffetta bellissima, impeccabile, stabilendo un record e bruciando tutte le avversarie con un distacco imponente. Il secondo luogo è una bellissima impresa corale, dove ogni passaggio di testimone ti fa venire voglia di tributare una ovazione all’impresa. E infine le azzurre diventano una rappresentazione sintetica e simbolica nello stadio dove lampeggiano insieme sia l’inno di Mameli che i sorrisi del futuro

[La polemica] La medaglia d’oro delle azzurre afro-italiane, la favola che turba i razzisti della domenica
di Luca Telese, editorialista

Ancora quella foto. È festosa, potente, è piena di significato e ci costringe a riflettere. Prima ignorata dalla stragrande maggioranza dei giornali italiani. Oggi citata da tutti, e trasformata un altro pretesto per animare la polemica politica. Ridotta persino – da qualche demente – a pretesto per imbandire ciarle razzistiche di quarta classe. È una immagine di vittoria. Qualcuno la considera un simbolo di integrazione, altri – come Libero – addirittura come una “discriminazione” nei confronti delle “atlete bianche”. La foto delle azzurre “afro-italiane” (neologismo che ci aiuta a capire la portata di ciò di cui parliamo), le nostre ragazze che trionfano ai giochi del Mediterraneo, si trasforma dunque in un caso, e – ancora una volta – in una lezione di comunicazione: dove i media ufficiali avevano sottovalutato la potenza del messaggio, i social hanno riscritto l’agenda, collocando quello scatto al centro del dibattito e imponendolo in cima ai tempi più discussi con l’hastag #primaleitaliane.

Anche questa mattina, a Radio24, sembrava che il Paese si fosse davvero fermato imbambolato davanti all’immagine di Raphaela, Maria Benedicta, Libania e Ayomide. Non c’era “Decreto dignità” che tenesse, non c’era nemmeno la notizia dell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo (con 116 morti) che potessero spostare il fuoco del dibattito. Le telefonate e i messaggi che arrivavano volevano tuti discutere – nella lotta serrata tra apologeti e denigratori – delle velociste azzurre.

Qualcuno considerava offensivo o “propagandistico” persino che io scegliessi di leggere la bellissima intervista della signora Paola, madre di Maria Benedicta. Lei romana, catechista, sposata con un nigeriano negli anni duemila, raccontava che sua figlia aveva dovuto “tirare fuori unghie e denti per difendersi”, e che forse c’era meno scandalo ai tempi del suo matrimonio con un nigeriano (venti anni fa) di quanto non ce ne sia oggi per una nuova italiana nata a Roma, come sua figlia. Mamma Paola aggiungeva, con una disamina perfetta del perché quella foto colpisca tanto: «Ci pensavo ieri: sono quattro sfumature d’Italia. La mia “Titti” nata qui con papà nigeriano arrivato in Italia a 18 anni come studente; la Grenot con la cittadinanza acquisita nel matrimonio; la Lukudu nata in Italia da genitori stranieri; e la Folorunso nata in Nigeria ma vissuta qui. Ecco – concludeva la signora Paola – l’Italia è anche questo». Già: nemmeno se avessero fatto un casting avrebbero potuto assortirle meglio.

Invece è stato il caso a fare da padrone, e questo fa arrabbiare tutti coloro che vedono in quella immagine uno strumento di attacco alle politiche della Lega o al sentimento anti-immigrati che tutti fanno come fatto acquisito. Con un paradosso nel paradosso, perché Salvini – che come è noto è noto più intelligente dei suoi fan – invece si è buttato subito su quella immagine, per provare a farla sua, dicendo: “Gioisco per questa vittoria italiana, come di tutte le medaglie italiane. Vorrei incontrare queste ragazze”.

Ma allora cos’é che colpisce tanto? L’immagine delle velociste azzurre è un messaggio così veloce – non dal punto di vista fisico, ma da dal punto di vista iconografico – che ci ha sorpassato, costringendoci a ripensarci. Ho rivisto la gara in integrale, dopo le polemiche di queste ore, e mi sono scoperto a commuovermi. In primo luogo queste sono quattro medaglie d’oro vinte con una staffetta bellissima, impeccabile, stabilendo un record e bruciando tutte le avversarie con un distacco imponente. Il secondo luogo è una bellissima impresa corale, dove ogni passaggio di testimone ti fa venire voglia di tributare una ovazione all’impresa.

E infine le azzurre diventano una rappresentazione sintetica E simbolica nello stadio dove lampeggiano insieme sia l’inno di Mameli che i sorrisi del futuro. Quella corsa a perdifiato in 3 minuti 28 secondi e 10 decimi di corsa, è diventata – fra l’altro – anche il record dei Giochi del Mediterraneo. E quella icona non poteva che trasformarsi nella sintesi di quattro vite complesse, appassionanti e tutte diverse. Un minuto dopo volevamo sapere tutto di loro. Raphaela Lukudo è nata Aversa da genitori sudanesi, Maria Benedicta Chigbolu è romana, ma (come abbiamo visto) con un padre nigeriano e una madre capitolina. Libania Grenot nasce cubana ma diventa italiana con un matrimonio. Ayomide Folorunso è nata in Nigeria ma vive in Italia da quando aveva quattro anni.

Questa foto è un grido di gioia, ma – sarebbe uno stupido ossequio al politicamente corretto negarlo – è anche una shock che ribalta il nostro istintivo senso comune: quattro afro-italiane, tutte insieme, e su di loro sventola la nostra bandiera. Che è anche la loro bandiera. Quattro afro-italiane con passo da gazzella e ali tricolori. Dunque questa non è solo una foto, e ci fa tanto discutere proprio perché ci parla di una parola, di una immagine d di una idea, che fino a ieri non esistevano ancora, almeno nella forma in cui si sono manifestate.

In mezzo a tante letture distorte, strumentali, allucinate o pretestuose, la cosa più sicura e inequivocabile è che sono “italiane prime”. Diventiamo vincenti – e questo è un altro ribaltamento di un cliché – perché includiamo, anche sportivamente, nuove energie. Ed ecco una aspetto che turba i razzisti della domenica. Queste ragazze non sono sans-papiers, perché nella legge dello sport i vincenti si includono da soli senza dover sottostare ad umiliazioni inutili, senza dover adempiere a obblighi burocratici.

Anche questo sottointeso, nel mondiale del nostro scontento, non è poco. Le azzurre medagliate non sono “abbronzate”, come scrive Libero, ma medagliate. Non sono nere, per una volta, ma color oro: vengono da tre continenti diversi, ma sono tutte italiane. Balotelli dieci anni fa, era una eccezione, un personaggio solitario che anticipava un’epoca. Queste ragazze sono un coro d’opera che ci parla di un futuro che è già arrivato. Questa immagine non è una foto posata: è una scultura animata, un manifesto civile. È il più antiretorico e scanzonato dei possibili monumenti all’Italia contemporanea. Ecco perché dico ai razzisti della domenica: rendetevi conto che se questa immagine vi fa male non è colpa loro, ma solo colpa vostra.

La medaglia d’oro delle azzurre afro-italianeultima modifica: 2018-08-18T18:44:58+02:00da ugo565
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